Moralità Leggendarie

Salomé 

III

Su un modo allegro e fatalista, un'orchestrina dagli strumenti d'avorio stava improvvisando una introduzioncella unanime.
Entrò la corte salutata dal festoso baccano di duecento invitati di lusso levatisi in piedi dai loro triclini. Ci fu un attimo di sosta dinnanzi a una piramide di doni offerti al Tetrarca in quel giorno. I due Principi del Nord si davano di gomito, eccitati all'idea di togliersi il collare del Tosone Ferreo per passarlo al collo del loro ospite. Non osarono, né l'uno né l'altro. La pochezza artistica del collare, soprattutto in quell'occasione, saltava agli occhi. Quanto al valore onorifico, non essendoci niente del genere in giro, sembrò loro che le spiegazioni utili a metterlo in luce rischiassero di cadere nel vuoto, o a malapena in un successo di stima.
Tutti presero posto; Smeraldo-Archetipas presentando figlio e nipote, due prodotti superbi (superbi, sia chiaro, nel senso esoterico e bianco), agghindati emblematicamente.
Allora, nell'aerea sala fiorita di giunchi color giallo giunchiglia, cinta a pergolato da un'assordante uccelliera, con al centro un getto d'acqua montante in colonna a trafiggere lassù il bianco velario di gomma variamente dipinto e ricadente in un crepitìo di dolce pioggia ristoratrice, tuttociò fece dieci file di letti, ciascuno addobbato secondo il gusto del commensale, lungo le tavole a emiciclo - e, di fronte, una scena d'Alcazar di vaste proporzioni, dove il fior fiore dei saltimbanchi dei giocolieri delle bellezze e dei virtuosi delle Isole sarebbe venuto a esibirsi.
Una brezza ben studiata correva lungo il velario, reso tuttavia pesante dai continui rovesci del getto.
E le uccelliere, ilari pel loro frusciare colorato, tacquero a malincuore quando la musica iniziò a accompagnare il pranzo.
Povero Tetrarca! le musiche, e la platea dei lussuosi omaggi in un giorno pomposo lo irritavano profondamente. Assaggiava appena la studiata successione delle portate, piluccandovi con spatole di neve indurita, andando in oca come un bimbo, a bocca aperta, dinnanzi agli strepitosi rabeschi del fregio volteggiante sul palcoscenico dell'Alcazar.
Si esibivano, su quel palcoscenico:
La ragazza serpente, esile, viscosamente squamata di blu di verde di giallo, il petto e il ventre d'un rosa tenero; glissava e si torceva, mai sazia di contatti personali, e intanto intonava da blesa l'inno che così principia: «Bilbili, mia germana Bilbili, oh tu mutata in fonte!...»
Poi una processione di costumi sacramentalmente inediti, simbolizzanti ciascuno un desiderio umano; una vera finezza!
Poi degli intermezzi, sul piano dell'orizzonte, di cicloni di fiori amperizzati: una tromba orizzontale di mazzetti esagitati...
Poi dei musici pagliacci con sul cuore la manovella di autentici organetti di Barberìa che giravano con arie da Messia, punto influenzabili, anzi disposti a compiere fino in fondo il loro apostolato.
Altri tre pagliacci recitarono l'Idea la Volontà l'Incosciente. L'Idea scilinguava su tutto, la Volontà dava capocciate alla scena, e l'Incosciente faceva larghi gesti misteriosi come chi, tutto sommato, ne sa più di quanto può dire. Questa trinità, del resto, aveva un solo identico ritornello:
O pagana gente,
Un bel niente!
Il niente, santuario
Al bibliotecario!

Fu un successo d'ilarità.
Poi dei virtuosi del trapezio, dalle ellissi quasi siderali!...
Poi fu introdotto un pavimento di ghiaccio naturale, e schizzò fuori un pattinatore adolescente, con le braccia incrociate sugli alamari d'astrakan bianco, il quale non s'arrestò che dopo aver descritto tutte le combinazioni di curve conosciute; poi fece un giro di valzer sulle punte come una ballerina; poi disegnò al bulino sul ghiaccio una cattedrale d'un gotico fiammeggiante, senza trascurarvi un rosone, un ricamo! Poi figurò una fuga in tre parti, finendo con un groviglio turbinoso alla fachiro posseduto 'dal diavolo' e uscì di scena, gambe all'aria, pattinando sulle proprie unghie d'acciaio!...
Si chiuse il tutto con una sfilata di quadri viventi, nudità di un pudore vegetale, in una simbologia gradualmente euritmica, attraverso i calvari dell'Estetica.
Tolti dalle carriole i calumeti, la conversazione si fece generale, e Johanaan ne faceva le spese, con tutto quel tripudio sopra la sua povera testa.
Il disquisire dei Principi del Nord intorno all'autorità, all'esercito, alla religione suprema, scolta di pace, di pane e di concorrenza internazionale finì con l'imbrogliarsi; per tagliare corto, citarono a guisa d'epifonema il seguente distico:
Del resto si sa che ogni uomo professa
Il perfezionamento della Specie stessa.

Era opinione dei mandarini che occorresse atrofizzare, neutralizzare le fonti della concorrenza sociale, chiudersi in cenacoli iniziatici, vivacchianti in pace tra loro, al riparo della Grande Muraglia, ecc. ecc...
E la musica, andando per conto suo, pareva voler proseguire ciò che la gente era troppo effimera per formulare.
Finché il silenzio s'allargò come una sciabica dalle maglie pallide gettata in una sera di ricca pesca; tutti si alzarono; pare che sia Salomé.
Entrò, scendendo la scala a chiocciola, rigida nella sua guaìna di mussola; fece segno con la mano di risdraiarsi; una piccola lira nera le pendeva dal polso; sulla punta delle dita spiccò un bacio in direzione di suo padre.
Venne a approdare frontalmente sulla pedana, davanti al sipario chiuso dell'Alcazar, aspettando che la si contemplasse con agio, divertendosi a ondeggiare, per darsi un contegno, sui piedi esangui dagli alluci divaricati.
Non prestava attenzione a nessuno. - I capelli incipriati di pollini sconosciuti si scioglievano sulle spalle in ciocche piatte, arruffati con fiori gialli e paglie gualcite sulla fronte; le spalle nude trattenevano, rialzata da bretelle di madreperla, una ruota di pavone nano dal fondo cangiante, marezzato, azzurro, oro, smeraldo, aureola su cui spiccava una candida testa, testa superiore, certo, eppure cordialmente incurante di sapersi unica, il collo svuotato, gli occhi corrotti da espiazioni cangianti, le labbra schiuse ad accento circonflesso d'un rosa pallido su una dentatura dalle gengive d'un rosa anche più pallido, in un sorriso dei più crocifissi.
Oh! dolce forma celestiale di estetiche ben assimilate, esperta reclusa delle Bianche Isole Esoteriche!...
Ermeticamente avvolta dentro una mussola d'impalpabile giunchiglia a pallini neri che, agganciandosi qua e là a fibbie diverse, lasciava libere le braccia in un'angelica nudità e formava tra due ombre di seni dalle mandorle guarnite d'un garofano una sciarpa ricamata dei suoi verdi anni che riunita un poco più su della deliziosa fossetta ombelicale in una cintura a volanti doppi d'un giallo intenso e geloso gettava un'ombra inviolabile ad altezza del bacino, nella stretta delle magre anche, per finire alle caviglie e risalire da dietro in due sciarpe fluttuanti separate, riagganciandosi infine alle bretelle di madreperla della ruota di pavone nano dal fondo cangiante, azzurro, marezzato, smeraldo, oro, aureola a quella candida testa superiore, essa vacillava sui suoi piedi, quei piedi esangui dagli alluci divaricati, unicamente calzati d'un anello alle caviglie da cui piovevano delle frange smaglianti di crespo giallo.
Oh! il piccolo Messia da matrice! Come la testa doveva pesarle! Delle mani non sapeva che farsene, anche le spalle rivelavano imbarazzo. Chi mai poteva averle crocifisso il sorriso, piccola Immacolata-Concezione? E corrotto il blu dello sguardo? - Oh! esultavano i cuori, come la sua gonna deve emanare ingenuità! Come l'arte è lunga e la vita breve! Oh, parlare con lei in un cantuccio, accanto a un getto d'acqua, conoscere non il suo perché, ma il suo come, e morire!... morire, a meno che...
Forse ci racconterà qualcosa, dopotutto?...
Chinato in avanti, dentro una frana di serici cuscini, le rughe dilatate, le pupille che sugano dalle feritoie delle palpebre sdorate, tormentando contegnosamente il Sigillo appeso al collo, il Tetrarca aveva appena passato a un paggio l'ananas che stava mangiucchiando e la sua tiara turrita.
- Chiuditi in te stessa! chiuditi prima in te stessa, Idea e Forma perfetta, o Cariatide delle isole senza storia! supplicava.
Eppoi sorrideva a tutti, da padre felice, con l'aria di dire: «State per vedere ciò che vedrete», mettendo al corrente in modo assai sconnesso gli ospiti principeschi, dal che essi si resero conto che, per decidere il destino della personcina in questione, la Luna s'era cavata molto sangue, e d'altronde era voce comune (c'era stato un Concilio in proposito) che fosse la sorella di latte della Via Lattea (per lei, tutto!).
Così, delicatamente poggiata sul piede destro, l'anca rialzata, l'altra gamba flessa indietro alla Niobide, avendo dato libero sfogo a una risatina tossicolosa, forse per render noto che non occorreva certo credere che si prendesse sul serio, Salomé pizzicò a sangue la sua lira nera e con la voce atimbrica e asessuata del malato che reclama la sua pozione di cui sicuramente non ha mai avuto bisogno più di voi o di me, eccola improvvisare lì per lì:
«Com'è stimabile il Nulla, Vita latente che vedrà la luce posdomani, al più presto, e stimabile, assolutorio, coesistente all'Infinito, limpido in sommo grado!». Li stava prendendo in giro? Continuò:
«Amore! mania inclusiva di non voler assolutamente morire (ben misera scappatoia!), o fratellastro, non dirò certo che è giunto il momento di spiegarsi. Dal tempo dei tempi, le cose sono le cose. E come sarebbe giusto farsi delle concessioni reciproche sul terreno dei cinque sensi attuali, in nome dell'Incosciente!
«O latitudini, altitudini, dalle Nebulose di buona volontà alle piccole meduse d'acqua dolce, orsù fatemi la grazia di andare a pascolare gli empirici pomari. O passeggeri di questa Terra, eminentemente
idem a innumeri altre ugualmente sole nella vita in travaglio indefinito d'infinito! L'Essenziale attivo s'ama (seguitemi bene), s'ama in modo dinamico più o meno di buon grado: un'anima bella che si suona la piva in eterno, è affar suo. Siate, voi, i passivi naturali; entrate vera-Mente automatici negli Ordini dell'Armonia Ben-Vigilante! E me ne racconterete di belle.
«Eh sì, teosofi idrocefali, come dolci volatili del popolo, anodino gruppo di fenomeni privi di garanzia di un governo ultraterreno, ritornate a essere degli individui minati dall'incuria, brucatemi giorno dopo giorno, di stagione in stagione, questi Delta senza sfinge i cui angoli, comunque, equivalgono a due retti. Là è il vero decoro o generazioni inguaribilmente puberi; simulate soprattutto l'impaccio nei limbi irresponsabili delle virtualità che vi ho detto. L'Incosciente
'farà da sé'.
«E voi, fatali Giordani, Gangi battesimali, sideree correnti insommergibili, cosmogonie di Mamma! lavatevi, entrando, la macchia più o meno originale del Sistematico; fate che masticati anzitempo in filacce per la Grande Virtù Curativa (diciamo, palliativa) che aggiusta gli strappi prativi, epidermici, ecc. - Quia est in ea virtus dormitiva. - Va'...».
Qui tacque Salomé, ricomponendo i capelli incipriati di pollini sconosciuti; le ombre dei suoi seni così ansimanti che i garofani ne caddero lasciando vedove le loro mandorle. Per riprendersi, cavò dalla sua nera lira una fuga senza senso...
- Oh! continua continua, di' tutto quello che sai! gemeva Smeraldo-Archetipas battendo le mani come un bimbo. Parola mia di Tetrarca! ti darò tutto quello che vorrai, l'Università, il mio Sigillo, il culto delle Nevi? Inoculaci la tua grazia d'lmmacolata-Concezione... Mi noio, ci noiamo tanto! vero, signori?
In effetti, dall'uditorio esalava un brusio di un malessere inedito; qualche tiara titubava. Era un vergognarsi gli uni degli altri, oh debolezza del cuore umano! malgrado il perbenismo della schiatta... (vicino, tu m'hai capito).
Poi che ebbe fatto giustizia sommaria di teogonie, teodicee e formule sulla saggezza delle nazioni (e col tono secco di un direttore del coro che dice: «Una battuta di troppo, vero?») Salomé riprese il suo mistico zirlìo appena delirante, la faccia subito rivolta all'indietro, il pomo d'Adamo che saltava da far paura, - non essendo più se stessa ormai di un tessuto aracneo con un'anima a goccia di meteora.
O maree, oboi lunari, corsi, fioriture al crepuscolo, venti declassati di novembre, fienagioni, carriere mancate, sguardi ferini, vicissitudini! - Mussole color giunchiglia a pallini funebri, occhi sfatti, sorrisi crocifissi, incantevoli ombelichi, aureole di pavoni, garofani caduti, fughe insensate! Era un sentirsi rinascere incolto, giovane oltre misura, l'anima sistematica spirando in spirali tra rovesci dai clamori innegabilmente definitivi, per il bene della Terra, e partecipe d'ovunque, palpato di Varuna, con l'Aria Onniversale di chi s'accerta del al dunque.
E Salomé a insistere follemente:
«Vi dico che è lo stato puro! O settari della coscienza, perché catalogarvi individui, vale a dire indivisibili? Soffiate sui cardoni di queste scienze nel Levante dei miei Settentrioni!
«È vita, forse, il persistere nel tenersi al corrente di sé e di tutto il resto, a ogni tappa formulando la domanda: Ah! ma chi si vuole ingannare, qui?
«Organizzazioni, schiatte, regni: via! Niente si perde, niente si aggiunge, tutto è di tutti; e tutto è addomesticato in anticipo, senza bigliettini confessionali, dal Figliuol Prodigo (intendiamoci, lo si liquiderà a dovere).
E non saranno dei trucchi da espiazioni e ricadute, ma le vendemmie calpestate dell'Infinito; non sperimentale, fatale piuttosto, imperocché...
«Siete voi l'altro sesso, noi siamo le piccole amiche d'infanzia (sempre inafferrabili Psiche, questo è vero). Tuffiamoci dunque da stasera nella mansa armonia delle moralità prestabilite, galleggiamo alle derive col ventre in fiore smarrito nel vento; in un profumo di sprechi, di doverose ecatombe, verso il laggiù dove non batte il nostro cuore né il polso della coscienza.
«In un avanzare di stanza in stanza, tra salve di valve, in fornicature senza cesure, dentro cotte smunte, e che si abdichi verso l'obliquo delle derive più primitive, in un tirarsi tutto fuori da me! - (Non posso dire che ci riesco)».

La piccola vociferante gialla a pallini funebri ruppe la sua lira su un ginocchio, poi si erse fiera.
Per darsi un contegno l'uditorio intossicato si asciugava le tempie. Passò un silenzio di confusione ineffabile.
I Principi del Nord non osavano consultare gli oriuoli, tanto meno chiedere: «A che ora la si mette a dodò?» Non dovevano essere più delle sei.
Il Tetrarca scrutava i disegni dei suoi cuscini; era finita, ma la dura voce di Salomé lo riscosse di colpo.
- E ora, padre mio, gradirei che mi faceste portare di sopra in camera la testa di Johanaan servita su un piatto qualunque. Ho detto. Salgo ad aspettarla.
- Ma non pensarlo neanche, piccola mia! uno straniero...
Tutta la sala opinò fervidamente con la tiara che in quel giorno fosse rispettata la volontà di Salomé; e le uccelliere, riprendendo l'assordante scintillio, dettero il loro consenso definitivo.
Smeraldo-Archetipas sbirciò verso i Principi del Nord; non un segno di approvazione o di riprovazione. Senza dubbio la cosa non li riguardava.
Aggiudicato!
Il Tetrarca lanciò il suo Sigillo all'Intendente della Morte.
Già i convitati, chiacchierando d'altro, sciamavano verso il bagno serale.

Salomé