Nascere è uscire: morire è rientrare.
(Proverbi del regno di Annam raccolti dal padre Fourdain delle Missioni Straniere.)
I
Erano passate giusto quel giorno duemila canicole da che una semplice rivoluzione concertata dai Mandarini di Palazzo aveva portato il primo Tetrarca, un infimo proconsole romano, sul trono delle Bianche Isole Esoteriche - trono da quel dì ereditato per selezione controllata e isole da quel dì perdute alla storia, salvo tuttavia restando quell'unico titolo di Tetrarca, inviolabile alla stessa stregua di Monarca, oltre i sette simbolismi di stato propri della desinenza tetra in opposizione alla desinenza monos.
In tre blocchi, su dei piloni tozzi e nudi, con cortili interni gallerie sepolcreti, col vantato giardino pensile dalle giungle verzicanti agli atlantici venti e con un osservatorio di vedetta a duecento metri su di casa nel cielo con cento rampe di cinocefali e sfingi il tetrarchico palazzo altro non era che un monolito sgrezzato, ricavato dal ventre, ben messo, insomma tirato a lustro dentro un monte di nero basalto screziato di bianco, con in più l'aggetto di un rumoroso molo pedonale a doppia fila di pioppi incassati color viola-gran lutto, proteso verso la inquieta solitudine marina, fino allo scoglio imperituro su cui, avorica spugna, s'esibiva alle nottambule giunche un faro d'opera buffa.
Titanica funerea mole venata di livido! facciate d'un nero eburneo riverberanti misticamente l'odierno sole di luglio: sole sul mare a tal punto riverberato di nero che le civette del pensile giardino, dall'alto dei loro polverosi pini, osano contemplarlo senza danno!...
La galera che ancora ieri portava i due principi intrusi, presunti figlio e nipote di un certo Satrapo del Nord, si culla sugli ormeggi ai piedi del molo, tra i commenti di figure oziose ma schiette nel gestire, al modo indigeno.
Così nel ristagno di mezzodì che si perpetua, legittimo dato che la festa non sarebbe esplosa che alle tre, il palazzo poltriva non riuscendo a scrollarsi di dosso la sua siesta.
Dalla corte, là dove convergono le grondaie, veniva uno sbellicarsi di gente al seguito dei Principi del Nord e a servizio del Tetrarca, un ridere senza capirsi tra i giochi di piastrelle e gli scambi di tabacco. C'è chi mostra ai colleghi stranieri come vanno strigliati gli elefanti bianchi...
- Ma da noi non ci sono elefanti bianchi, cercavano di far capire.
E i palafrenieri giù a toccarsi, come a scongiurare propositi empi. Dopodiché restavano allocchiti davanti ai pavoni bighellonanti in cerchio, con la ruota sgargiante al sole, sopra il getto d'acqua; ma si divertivano, ne abusavano anche! ai loro barbari appelli rispondevano echi gutturali a rimbalzo nel caos di più piani di rocce.
Tutti costoro rientrarono in fretta per accudire alle proprie faccende quando sulla terrazza centrale apparve il Tetrarca Smeraldo-Archetipas sfilandosi i guanti al sole, Aedo universale allo Zenit, Lampiride dell'Empireo, ecc...
Oh, il Tetrarca sulla terrazza, cariatide di dinastie!
Dietro a lui la città, in un brusìo di festa, che sciorina le sue ricche innaffiature; e più in là, dopo i bastioni nani smaltati di fiorellini gialli, come si stendeva lieta la pianura! Strade graziose con i quartieri dalle selci rifilate, scacchiere dalle svariate colture. Davanti a lui il mare, il mare sempre nuovo e venerabile, il Mare, dato che non c'è modo di chiamarlo altrimenti.
Ora il silenzio era unicamente punteggiato dall'abbaiare festoso e chiaro, laggiù, dei cani che i bimbi, tra il brillìo dei nudi corpi nelle miche delle sabbie arse, eccitavano con esotici fischi contro la spiegata curva della linea del mare, sul cui pelo dell'acqua gli stessi giocavano poco fa a rimbalzello con delle frecce di scarto.
Così, poggiato sui gomiti, godendosi il fresco degli invisibili ruscelletti, tra le clemàtidi della terrazza, il Tetrarca buttava svogliato in volute senz'arte, tristi e sconnesse, il fumo della sua dose meridiana di narghilé. Ieri, per un istante, all'arrivo sospetto di un messaggero che annunciava i Principi del Nord, il suo destino troppo pago su queste isole troppo paghe aveva vacillato tra i terrori strettamente domestici e un dilettantismo assoluto che troverà il suo conforto del tutto per tutto nella rovina.
Perché era proprio della razza di quei figli del Nord, mangiatori di carne dalle facce non rasate, l'infausto Johanaan piombato qui un bel mattino, con tanto di occhiali e una barbaccia rossa, a commentare proprio nella lingua del paese certi opuscoletti che distribuiva gratis, ma propagandandoli in un modo così sedizioso che per poco il popolo non l'aveva lapidato, e che adesso se ne stava a cogitare in fondo all'unica segreta del tetrarchico palazzo.
Che dopo tanti secoli di esoterismo senza storia, il ventesimo centenario della dinastia degli Smeraldo-Archetipas dovesse sorbirsi, mazzo di luminarie, una guerra dell'altro mondo? Johanaan aveva parlato della sua patria come di un paese intristito dall'indigenza, affamato dell'altrui bene, dedito alla guerra come a una industria nazionale. Che i due principi fossero venuti a reclamare quel tizio, un signore di genio, dopotutto, e loro suddito, a complicare il fatto pretestuoso esibendo un nordico diritto delle genti?...
Ancora fortunato! poteva ringraziare le misteriose intercessioni di sua figlia Salomé se il boia non era stato distolto dalla tradizionale sinecura onoraria e spedito a Johanaan col sacro kris...
Ma, un ben misero allarme! Il viaggio dei due Principi non era che una circumnavigazione, in cerca di colonie vagamente occupate, con scalo strada facendo, per curiosità, alle Isole Bianche. È proprio in quest'angolo di mondo rischiava la corda il loro celebre Johanaan? Eccoli avidi di particolari sulle tribolazioni di quel povero diavolo già così poco profeta in patria.
Così il Tetrarca poppava la sua dose meridiana di narghilé, con animo svuotato e con umore malfermo come sempre, del resto, sul mezzodì - più malfermo oggi tra i rumori crescenti della festa nazionale, i petardi i cori gli sbandieramenti e le limonate...
L'indomani, la galera di quei signori si sarebbe dileguata all'orizzonte; certo infinito, ma di là dal quale vivevano sotto lo stesso sole numerosi altri popoli.
Curvo sulle giulebbanti clemàtidi della balaustra di maiolica, intento a sbriciolare una focaccia di fior di farina per i pesci dei vivai sottostanti, Smeraldo-Archetipas rimuginava il fallimento - oh, esigua rendita! - delle sue facoltà in pensione, la tarda vecchiaia indubbiamente frustrando ogni impulso galvanico, vuoi artistico o meditativo o gemellare o industriale.
E pensare che il giorno della sua nascita un grosso temporale s'era abbattuto proprio sul nero dinastico palazzo, e che da gente degna di fede era stato visto un lampo iscrivere l'alfa e l'omega! Giorni e giorni sciupati sospirando su quel mistico trillo! Non s'era mai manifestato proprio niente. E poi, alfa e omega possono voler dire tante cose...
Per finire, da quasi due mesi aveva rinunciato ai temi fatui, esortandosi a ritrovare quella fiammella di rassegnazione al nulla dei suoi ascetici ventanni, per imporsi con applicazione la regola dei pellegrinaggi quotidiani alla necropoli avita, così fresca, d'altronde, l'estate. - L'inverno era alle porte, con le cerimonie del culto della Neve, con l'investitura del nipote. E gli restava sempre Salomé, la sua bambina, che non voleva sentir parlare delle dolcezze dell'imene!
La mano di Smeraldo-Archetipas era già sul gong, per la richiesta di altre focacce destinate ai pesci di lusso al luglio, quando alle sue spalle risuonò sulla pietra la verga di bronzo del Profitente d'inezie. I Principi del Nord erano rientrati dalla visita in città; attendevano il Tetrarca nella sala dei Mandarini di Palazzo. |