Moralità Leggendarie

Perseo e Andromeda o il più felice dei tre 

III

Un'altra sera che cala, un bel tramonto in mostra; bilancio classico! bilancio più che classico!...
Andromeda butta indietro la sua rossa capigliatura e riprende il cammino di casa.
Il Mostro non le viene incontro. Cosa significa? Il Mostro non c'è più! Lo chiama:
- Mostro! Mostro!...
Nessuna risposta. Suona la buccina. Niente. Fa ritorno alla scogliera che domina l'isola e suona e chiama, Dio mio!... Nessuno. Torna a casa.
- Mostro! Mostro!... - Che disastro! si fosse inabissato per sempre, fosse partito lasciandomi sola, con la scusa che l'ho tormentato troppo, che gli ho reso la vita impossibile?...
Nella sera che cala, l'isola le appare incredibilmente, impossibilmente perduta! Si butta sulla sabbia davanti alla grotta e geme geme, geme che vuol lasciarsi morire, che doveva aspettarselo...
Quando si rialza, il Mostro è là, nella solita melma, intento a bucare una di quelle buccine con cui le fabbrica delle ocarine.
- To' eccovi, dice. Vi credevo partito.
- Dio me ne guardi. Fin che vivo sarò il vostro carceriere senza macchia e senza paura.
- Come dite?
- Dico che fin che vivo...
- Bene bene; lo sappiamo.
Silenzio e orizzonte; l'orizzonte dei mari è bell'e sgombro per il tramonto.
- Se giocassimo a dama, sospira Andromeda visibilmente irritata.
- Giochiamo a dama.
Una scacchiera a mosaici neri e bianchi è incrostata sulla soglia della grotta. La partita ha inizio e già Andromeda scompiglia tutto, visibilmente irritata.
- È impossibile, perderei; non ho la testa. Mica ne ho colpa. Sono irritata e lo si vede.
Silenzio e orizzonte! Dopo tutte le follie del pomeriggio l'aria è ferma, come racconta in attesa della classica ritirata dell'Astro.
L'Astro! ...
Laggiù all'orizzonte rutilante dove le sirene trattengono il fiato,
salgono le impalcature del tramonto,
di faro in faro si dispongono a terrazze le murature di scena;
i pirotecnici danno gli ultimi ritocchi;
sbocciano lune d'oro in serie, tanti bocchini di trombe allineate da cui fulminassero falangi di araldi!
Il mattatoio è pronto, si ripiegano i paramenti;
su lettighe di diademi, sulle messi di lampioncini veneziani e di caligini e di covoni,
arginate da barriere in similoro messe a sacco,
l'Astro Pascià
Sua Eminenza Rossa
in zimarra di rovine
cala, mortalmente trionfale
per interi minuti attraverso la Porta Sublime!
Eccolo che giace su un fianco, venato di stigmate atrabiliari.
Svelto, qualcuno spinge giù con un calcio quella zucca fessa, e allora!...
Addio, finita la festa!...
L'allineamento di trombe s'abbassa, le difese crollano coi loro fari di boccioni prismatici! I cimbali volano via, i cortigiani inciampano negli stendardi, le tende vengono ripiegate, l'esercito leva il campo portandosi dietro nel panico le basiliche occidentali, i torchi gl'idoli i fagotti le vestali gli uffici le ambulanze le cantorie delle fanfare e tutti gli accessori di rito.
Per stemperarsi in uno spolverìo rosa aureo.
Insomma, è andate tutto a meraviglia!...
- Favoloso, favoloso! sbava in estasi il Mostro Taciturno, e le sue vaste pupille acquose brillano ancora degli ultimi riflessi occidentali.
- Addio, finita la festa! sospira crepuscolarmente Andromeda, la cui rossa capigliatura sembra ben povera cosa dopo quegli incendi.
- Non resta che accendere i fuochi della sera, cenare, e benedire la luna prima di andare a letto, per svegliarsi l'indomani e ricominciare una giornata uguale.
Orsù, silenzio e orizzonte pronti per la funerea luna... allorché! - Oh! benedetti gli dei che inviano proprio al momento giusto un terzo personaggio.
Arriva come un razzo l'eroe adamantino su un Pegaso di neve le cui ali fremono tinte dai tramonti, nitidamente riflesso nel pur vasto specchio malinconico dell'atlantico delle belle sere!...
Non c'è alcun dubbio, è Perseo!
Andromeda, soffocata da acerbi palpiti, corre a rannicchiarsi sotto il mento del Mostro.
E delle grosse lacrime spuntano sulle ciglia del Mostro, come dei doppieri sulle balaustre. Parla con una voce che non gli conoscevamo affatto:
- Andromeda, nobile Andromeda, rassicurati, è Perseo. È Perseo, figlio di Danae d'Argo e di Giove tramutato in pioggia d'oro. Viene per uccidermi e rapirti.
- Mannò che non ti ucciderà!
- Mi ucciderà.
- Non ti ucciderà se mi ama.
- Non può portarti via che uccidendomi.
- Mannò, ci metteremo daccordo, ci si mette sempre daccordo. Aggiusterò tutto io.
Andromeda ha lasciato il suo posto abituale e guarda.
- Andromeda, Andromeda! pensa al valore della tua carne unica, pensa al valore della tua anima schietta; un mispatto coniugale è così presto consumato!
Figurarsi se quella sta a sentire! La faccia protesa, i gomiti incollati al corpo, le dita contratte sulle anche, è piantata là sulla riva del mare, femminilmente, in atto di sfida.
Prodigioso e d'un gusto raffinato, Perseo s'avvicina con un batter d'ali più lento dell'ippogrifo; - più s'avvicina più Andromeda si sente provinciale; e delle sue braccia incantevoli non sa proprio che farsene.
Giunto a qualche metro d'Andromeda, l'ippogrifo si ferma con un garbo perfetto, piega le ginocchia a sfiorare i flutti, pur sostenendosi con un roseo fremito d'ali; e Perseo fa un inchino. Andromeda risponde d'un cenno del capo. Ecco dunque il suo fidanzato. Quale sarà il suono della sua voce, e la sua prima parola?
Védilo che riparte senza una parola e avendo preso quota compie di slancio delle ellissi passando e ripassandole davanti, caracollando sul filo del mare - prodigioso specchio! diminuendo via via le sue orbite su Andromeda, quasi volesse dare all'acerba vergine il tempo di ammirar lo e di desiderarlo. Un ben curioso spettacolo in verità!...
Stavolta, sorridendo, le è passato così vicino che avrebbe potuto toccarlo!
Perseo monta all'amazzone incrociando vezzosamente i piedi calzati da sandali di bisso; uno specchio sta appeso all'arcione della sella; è imberbe, la bocca rosa atteggiata al sorriso potrebbe definirsi una melagrana spaccata, sull'incavo del petto è laccata una rosa, le sue braccia sono tatuate d'un cuore trafitto da una freccia, ha un giglio dipinto sul grosso dei polpacci, porta un monocolo di smeraldo, anelli e bracciali in gran copia; dal balteo dorato pende uno spadino con l'elsa di madreperla.
Perseo ha sul capo l'elmo di Plutone che rende invisibili, ha le ali e i calzari di Mercurio e lo scudo divino di Minerva, dalla cintura penzola la testa della Gòrgone Medusa alla cui sola vista, è risaputo, il gigante Atlante si cangiò in montagna; il suo ippogrifo è quel Pegaso che cavalcava Bellerofonte quando uccise la Chimera. Un giovane eroe dall'aria maledettamente sicura.
Il giovane eroe ferma l'ippogrifo davanti a Andromeda e senza smettere di sorridere con quella bocca di melagrana spaccata, traccia una serie di mulinelli con la sua spada adamantina.
Andromeda resta inchiodata, l'incertezza la dispone al pianto, quasi non d'altro in attesa che del suono della voce di quel personaggio per abbandonarsi al destino.
Il Mostro fa la cuccia in disparte.
Con eleganza e senza turbare lo specchio d'acqua, Perseo compie un volteggio e la cavalcatura s'inginocchia davanti a Andromeda presentando il fianco; il giovane cavaliere fa delle sue mani staffa e inclinandole verso la giovane reclusa dice con un'erre incurabilmente grassa:
- Su, òp! a Citera!
Finiamola una buona volta! Andromeda ha già il piede ruvido in quella staffa delicata quando si volta per dire addio al Mostro. - Ma ecco che costui si getta sotto l'ippogrifo e riappare inalberato in mezzo a loro, le due zampe in resta, spalancando l'antro violaceo della gola che getta un dardo di fiamma! L'ippogrifo s'impenna, Perseo indietreggia per avere più campo, gridando smargiassate. Il Mostro le raccoglie, Perseo si fa sotto e subito s'arresta:
- Ah! non ti darò la soddisfazione di scannarti in sua presenza, grida; fortuna che gli dei giusti hanno messo più d'una corda al mio arco. Io... ti meduso io!
Il mignoncello degli dei sgancia dalla sua cinta la testa della Gòrgone.
Recisa al collo, la famosa testa è viva ma viva di una vita stagnante e avvelenata, nera d'apoplessia repressa, gli occhi bianchi e iniettati sono fissi, e fisso il rictus di decollata; tutto di lei è fermo tranne la capigliatura di vipere.
Perseo l'impugna per quella chioma i cui nodi blu screziati d'oro gli fanno dei nuovi bracciali, e la presenta al Drago mentre grida a Andromeda: - Voi, giù gli occhi!
O prodigio! l'incantesimo non s'avvera.
Non vuole avverarsi, l'incantesimo!
La Gòrgone, di fatto, con uno sforzo inaudito ha chiuso i suoi occhi petrificanti.
La buona Gòrgone ha riconosciuto il nostro Mostro. Ricorda bene i ricchi tempi pieni di brezze quando con le sue due sorelle frequentava quel Drago, già guardiano del giardino delle Esperidi, del meraviglioso giardino delle Esperidi, sito nei pressi delle Colonne d'Ercole. No, mille volte no, non sarà lei che petrificherà un vecchio amico!
Perseo attende sempre, a braccio teso, ignaro di tutto. Il contrasto tra il gesto valoroso e magistrale che ha assunto e il suo fallimento ha del grottesco; e la selvatica piccola Andromeda non ha potuto trattenere un sorrisetto; sorrisetto che Perseo sorprende! L'eroe stupisce, ma che succede alla sua buona testa di Medusa? Benché l'elmo, in fondo, lo renda invisibile, non è senza timore che s'azzarda a guardare in faccia la Gòrgone, per sincerarsi dell'accaduto. Lapalissiano; l'incantesimo petrificante non ha operato perché la Gòrgone ha chiuso gli occhi.
Furibondo, Perseo riaggancia la testa, brandisce la spada con un ghigno da vincitore e serrando sul cuore lo scudo divino di Minerva, dà di sprone (oh! giusto nel mentre laggiù la luna piena si alza sul prodigioso specchio atlantico!) e s'avventa contro il Drago, povera massa orba di ali. L'accerchia con smaglianti volteggi, gli dà di picca a dritta e a manca poi lo costringe a ridosso d'un anfratto e lì gli affonda così mirabilmente la spada nel mezzo della fronte, che il povero Drago s'affloscia, appena in tempo per rantolare spirando:
- Addio, nobile Andromeda, ti amavo, e con delle prospettive, solo che tu l'avessi voluto; addio, ci penserai spesso.
Il Mostro è morto. Malgrado l'infallibilità della vittoria Perseo è troppo eccitato e vuole infierire sul defunto; lo lardella lo sfregia gli fora gli occhi e lo massacra! finché Andromeda non lo ferma.
- Basta basta, vedete bene che è morto.
Perseo appende la sua spada al balteo, ricompone i riccioli biondi della sua chioma, ingoia una pasticca e scendendo dalla sua cavalcatura, di cui carezza il collo:
- E ora, bellezza mia! dice con voce melassata.
Andromeda, che è rimasta sempre là, ineccepibilmente e inderogabilmente nuda coi suoi neri occhi alcionici, chiede:
- Voi mi amate, mi amate veramente?
- Se vi amo? Ma vi adoro! senza di voi la vita mi sarebbe intollerabile e piena di tenebre! Se ti amo! ma guardati dunque!
E le allunga il suo specchio; Andromeda con aria esterrefatta rifiuta soavemente quella bigiotteria. Lui non ci fa caso, anzi s'affretta a aggiungere:
- Ah! questo però sì, bisognerà che ci facciamo belle!
Cava di dosso uno dei suoi collari, un collare di monete d'oro (ricordino di nozze di sua madre) e vuole infilarglielo al collo. Essa lo respinge dolcemente ma lui approfitta di quel gesto per cingerle a due mani la vita. L'animaletto ferito si risveglia! Andromeda manda un grido, il grido dei gabbiani nei momenti più neri, un grido che risuona sull'isola tutta buia:
- Non mi toccare!... - Oh scusate, scusate, ma in verità tutto è accaduto così in fretta! Vi prego, lasciate ch'io vaghi ancora un po' sola, ch'io dica un ultimo addio ai luoghi...
Si scosta per abbracciare con un gesto l'isola, e la cara scogliera su cui cala la notte, una vera notte, oh! vera per tutta la vita! così vera e inafferrabile che Andromeda subito se ne distacca per affrontare colui che viene a strapparla al suo passato, che rappresenta il suo mi-gioco-tutto. Ma ecco che lo sorprende! Sbadigliava! uno sbadiglio compassato che si sforza di tramutare in un sorriso di melagrana spaccata.
O notte sull'isola del passato! Mostro vilmente ucciso, Mostro senza sepoltura! Paesi troppo eleganti di un domani... Andromeda non ha che un grido:
- Andatevene! andatevene! Mi fate orrore! Meglio morire sola, andatevene, avete sbagliato indirizzo.
- Ah! bene, bei modi questi! Piccola mia, sappiate che i miei pari un ordine del genere non se lo fanno dare due volte. E non è che siate poi un campione di raffinatezza...
Traccia un mulinello con la sua spada adamantina, si rimette in sella e fila via senza voltarsi nell'incanto dell'aurora lunare; lo si sente che tuba un'aria tirolese; fila via come una meteora, dilegua verso contrade eleganti e facili...
O notte sulla povera isola di sempre!... Quale sogno!...
Andromeda se ne sta lì a testa bassa, inebetita davanti all'orizzonte, al magico orizzonte rifiutato, che non ha neanche potuto rifiutare, o dei che la forniste d'un cuore così grande!
Essa va dal Mostro, che giace sempre nel suo angolo, esanime, livido e flaccido, l'infelice. Valeva proprio la pena! ...
Come sempre, va a rifugiarsi sotto il suo mento, ora senza vita e che deve sollevare per allacciargli il collo con le sue braccine. È ancora tiepido. Incuriosita, alza con l'indice una palpebra, la palpebra scopre un globo spaccato e ricade. Scosta le ciocche della criniera e conta i fori sanguinanti che gli ha fatto l'orribile spada di diamante. Delle lacrime scorrono silenziose, lacrime di passato e d'avvenire. Come la vita era ancora bella con lui in quell'isola! E nel passargli con un gesto meccanico la mano tra le ciglia essa ricorda. Ricorda come le fosse amico, gentiluomo perfetto, scienziato ingegnoso, poeta eloquente. E il suo cuoricino scoppia in singhiozzi mentre essa si agita sotto il mento inerte del Mostro non apprezzato abbastanza e gli stringe il collo e troppo tardi ormai lo scongiura.
- Oh! povero, povero Mostro! M'avessi detto tutto a suo tempo! non saresti morto qui, per mano d'uno stupido eroe d'operetta. E io così sola nella notte! Avremmo avuto ancora dei bei giorni. Potevi capirlo da te che la mia non era che una crisi passeggera, quel languore, quella curiosità fatale. Oh! curiosità tre volte funesta! Oh! Ho ucciso il mio amico, ho ucciso il mio unico amico! Il mio paterno nutritore, il mio precettore. Di che lamenti potrei far risuonare queste rive insensibili ormai? Nobile Mostro: - Addio, Andromeda, ti amavo e con delle prospettive, solo che tu l'avessi voluto! furono le sue ultime parole. - Ora sì che capisco la gravità della tua anima grande! e i tuoi silenzi e i tuoi pomeriggi e tutto! Troppo tardi, troppo tardi! Ma senza dubbio questo era il volere degli dei. O dei di giustizia, prendete la metà della vita di Andromeda, prendete la metà della mia vita e rendetemi la sua, che io lo ami e lo serva d'ora in poi con fedeltà e con grazia. O dei, fate questo per me, voi che mi leggete nel cuore e sapete quanto, in fondo, io l'amassi, anche se obnubilata da fugaci capricci dell'età, io che non ho mai amato altri che lui, che l'amerò in eterno!
E lo sboccio della bocca della nobile Andromeda trascorre lieve sulle palpebre chiuse del Drago. A un tratto si ritrae!...
Perché ecco che alle sue parole fatidiche, a quei baci redentori il Mostro trasale, apre gli occhi, piange in silenzio e la guarda... Poi parla:
- Nobile Andromeda, grazie. I tempi della prova sono finiti. Io rinasco, sto rinascendo a dovere per amarti; e non una parola né un istante siano in grado di definire la tua felicità. Impara piuttosto a conoscere me e il mio destino. Ero della stirpe maledetta di Cadmo votata alle Furie! Predicavo la derisione dell'essere e la deità del nulla nei boschi d'Arcadia. Per punirmi, gli dei della vita mi cambiarono in Drago dannandomi, in queste sembianze, alla sorveglianza dei tesori della terra fino al giorno in cui una vergine mi amasse, me Mostro, per me stesso. Drago a tre teste, custodii dapprima a lungo i pomi d'oro del giardino delle Esperidi; Ercole sopraggiunse e mi sgozzò. Successivamente passai in Colchide, dove sarebbe approdato il Vello d'Oro. Sull'ariete dal vello d'oro giungevano il tebano Frisso e sua sorella Elle. Un oracolo m'aveva fatto intendere che Elle era la vergine promessa. Ma annegò in viaggio legando il suo nome allo stretto dell'Ellesponto. (Seppi poi che non era un granché). Vennero allora quegli strani Argonauti, come non se ne vedrà più!... Splendore di un'epoca! Giasone era il loro capo, quindi veniva Ercole, e il suo amico Teseo, e Orfeo che si vantava d'incantarmi con la sua lira (e che doveva fare più tardi una così brutta fine!) e ancora i due Gemelli: Castore, domatore di cavalli e Polluce eccelso nel pugilato. Epoche svanite!... Oh! i loro bivacchi, i fuochi che accendevano nelle sere! - Dovevo finire sgozzato ai piedi del Vello d'Oro del Santo Graal, vittima dei filtri di Medea, arsa d'amore folle pel sontuoso Giasone. E vennero altri cicli: ho conosciuto Eteocle e Polinice, e la pia Antigone, e il perfezionarsi degli armamenti che segnò la fine dei tempi eroici. Da ultimo, la bizzarra e opprimente Etiopia e tuo padre e te, o nobile Andromeda, Andromeda la più bella di tutte, a cui devo di poterti rendere tanto felice che non ci sarà né una parola né un istante in grado di definire la tua felicità.
Com'ebbe terminato quel mirifico discorso il Drago, senza preavviso, ecco che si muta in un giovanotto a modo. Affacciato all'ingresso della grotta, con la sua pelle umana inondata dagli incantesimi lunari, parla dell'avvenire.
Andromeda non osa riconoscerlo e si gira appena, sorridendo nel vuoto, con uno di quei moti fascinosi di tristezza forieri in lei dei più impensati colpi di testa (la sua anima è così facilmente soggetta allo sconforto...).
Ma bisogna pur vivere, e viverla questa vita, perquanto si debba tenere gli occhi bene aperti a ogni sua svolta.
L'indomani di quella notte essenzialmente nuziale, ricavarono una piroga da un tronco d'albero e la misero in mare.
Vogarono, evitando le coste disseminate di casinò. Oh! viaggio di nozze sotto il sole come al sereno!
Il terzo giorno approdarono in Etiopia dove regnava l'inconsolabile padre di Andromeda (lascio immaginare la sua gioia).
- Ah questa poi, mio caro signor Amyot d'Epinal, ce la racconta bella! esclamò la principessa d'U. E. accomodando appena lo scialle perché la notte, splendida, s'annunciava fresca. E io che avevo disposto ben altrimenti il mio animo all'avventura di Perseo e Andromeda! e quel povero Perseo come me l'avete conciato! (Vi perdono solo pel tocco da maestro con cui m'avete adulato all'antica, sotto i tratti d'Andromeda). Ma lo scioglimento della storia! Che è questo Mostro a cui nessuno finora aveva mai prestato attenzione? E poi, caro signor Amyot d'Epinal, alzi un po' gli occhi verso la carta celeste della notte. Quella coppia di nebulose laggiù, vicino a Cassiopea, non si chiama forse Perseo e Andromeda? mentre invece là in fondo, quella fila sinuosa di stelle, con la sua aria umile, non è la costellazione del Drago, che vivacchia tra l'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore, zoticone della stessa razza?...
- Cara U..., questo non prova niente. I cieli sono sereni e convenzionali; tanto varrebbe dire che i vostri occhi sono semplicemente castani (voi non lo vorreste). No, perché - vedete - allo stesso modo, dall'altra parte laggiù verso la Lira, che è la mia costellazione, non c'è forse il Cigno, che è la costellazione di Lohengrin ed è disposto a croce in ricordo di Parsifal? Ammetterà pure che io e la mia Lira non abbiamo niente da spartire con Lohengrin e con Parsifal?
- È vero, parabolicamente vero. Ma non c'è mai modo di discutere e d'istruirsi con lei. Via, rientriamo a prendere il tè. A proposito, e la morale? dimentico sempre la morale...
- Eccola:
Ragazze mie, prima di rifiutare un mostro
Pensateci su due volte, date retta a me.
Così come la nostra storia lo dimostra
Il poveraccio era il più meritevole dei tre.

Jules Laforgue

Persée et Andromède ou le plus heureux des trois