II
E venne il giorno del Corpus Domini.
Era dal mattino che le vecchie campane scampanavano.
Campane mie campane!
Doglianze divine!...
Ma le divine campane urtavano troppo
contro certi interessi bassamente pubblicitari. Difatti doveva aver luogo la
processione, la piazza principale ne era la sosta d'obbligo, e su questa
piazza principale tutti gli anni i due alberghi d'Inghilterra e di Francia
ridestavano le penose rivalità di Waterloo e del Gran Premio, nella messa in
scena delle loro edicole.
Anche questa volta l'opinione
pubblica (vox populi, vox Dei) diede la palma all'albergo d'Inghilterra.
E di fatto, sul tappeto a bacchette
di rame che ricopre i gradini della scalea, oltre l'addobbo classico dei
quattro quadri di soggetto religioso con i portafiori da refettorio e i
candelabri con tutte le candele accese nel sole di giugno, ecco che questo
covo dei figli d'Albione esibiva in cima all'ultimo gradino, tra la confusione
dei ventagli di palma, una Santa Teresa (patrona del luogo) il cui isterico
policromo rococò catturava malsanamente gli sguardi. Mentre l'albergo di
Francia non aveva trovato di meglio che rincarare l'orgia di fiori dell'anno prima.
È anche vero che al terzo cantone
della piazza principale, il palazzo della duchessa H... frapponeva, a
salvaguardia del buon tono e a edificazione delle masse, la superiore serenità
di un isolato altare provvisorio: in mezzo a le peonie, le piume di pavone e
le candele rosa, tra una Sacra Famiglia del Tiepolo e una Maddalena attribuita
a Luca Cranach, tre stipetti a reggere il blasone della nobildonna ricamato su
uno scudo di felpa amaranto.
E tuttavia fu con voce unanime che
venne proclamata la vittoria dell'Inghilterra. Ma vittoria brutale, vittoria
dell'orpello e del paganesimo impressionista, vittoria che più tardi, in un
mondo migliore, costerà cara.
E questo nel momento in cui l'altare
provvisorio dell'albergo di Francia, senza voler entrare in merito alla
convenienza dei suoi deliziosi canestri di gigli (che non filano, come sa il
regno di Francia), stava per essere teatro di una seconda edizione più
estetica del Miracolo delle Rose!
Sì, il leggendario Miracolo delle Rose!
Agli occhi, se non altro, di colei
che ne fu l'eroina, toccante e tipica creatura troppo presto sottratta
all'affetto dei suoi cari e al dilettantismo degli amici.
Sulla piazza principale dove gli
alberghi d'Inghilterra e di Francia stanno a evocare le penose rivalità di
Waterloo e del Gran Premio e dove avverrà la sosta d'obbligo della
processione del Corpus Domini, già sostano al sole gruppi di stranieri in
abiti nuovi fiammanti (invece di coltivare la loro anima immortale ecc...) e di brava gente del luogo.
Un gran bel vedere, nella canicola di
giugno; quand'ecco che entra in scena una figura crepuscolare!
- State comoda così, Ruth?
- Sì Patrick.
La giovane malata si stende convenientemente sulla sua sdraio sotto il peristilio d'ingresso dell'albergo
e il fratello Patrick l'avvolge ben bene nelle coperte da viaggio, mentre il
portiere gallonato sistema con insolente ossequiosità un paravento alla sua sinistra.
Patrick siede al capezzale della
sorella; ha con sé il fazzoletto diafano come un profumo, la bomboniera di
catecú all'arancio, il suo ventaglio (un ventaglio, o ironia e malinconico
capriccio del momento!), il flacone di muschio naturale (ultimo conforto ai
moribondi); ha con sé questi tristi accessori d'uso della sorella, li ha con
sé costantemente al servizio dei suoi sguardi, sguardi già reimmessi alle
originarie altezze dell'aldilà della vita (la vita, dieta del nulla), sguardi
intenti per l'occasione a meditare sullo sfumato di mani, le sue, dalle
falangi malinconicamente madreperlacee.
Mai Ruth era stata sposa o promessa,
eppure l'anulare sinistro dalle falangi malinconicamente madreperlacee porta
una fede, in verità molto sottile (ancora un mistero).
Ideale bellezza agonizzante troppo
presto rapita al dilettantismo degli amici, nel suo abito grigioferro dalle
lunghe pieghe dritte, avvolta in una cappa a mantellina doppia di pelo da dove
emerge una stuarda di pizzo bianco chiusa a mo' di spilla da una vecchia
foglia di moneta d'oro con su tre fiori di giglio, coi capelli rosso ambra a
cascata sulla fronte finemente intrecciati dietro la nuca pura in un dolce
nodo piatto alla Julia Mammea; gli occhi sgomenti, buoni ma selvatici e la
piccola bocca golosa eppure esangue, e con quell'aria tardivamente,
tardivamente adorabile! Tardivamente adorabile, ché come potrebbe il cereo
incarnato avvampare ormai in scenate di gelosia?...
Ecco che dice, pur di dire qualcosa per il piacere di ascoltarsi:
- Ah! Patrick, il rumore di questa fiumara mi farà morire...
È vero, a lato dell'albergo scorre a salti il torrente.
- Suvvia, Ruth, non mettetevi delle idee in testa...
Allora, tanto per distendere i nervi,
crea lo scompiglio tra le scialbe rose tee (il medico le ha proibito le rose
rosse del colore del sangue) disseminandole sullo scozzese a scacchi bianchi e
neri, finendo col concludere come sempre ma con una smorfia sottilmente
vittimistica che dissipa anche il sospetto della posa:
- Mi sento fiacca, Patrick, davvero
fiacca, come una fiala svuotata...
Sono fratello e sorella, però di
madri diverse (molto diverse), lui le è minore di quattro anni, primaticcio e
nobile come un verde patrio abete. Calarono due mesi fa in questo albergo di
cui occupano un villino appartato.
- Fiacca, Patrick, fiacca come una fiala svuotata...
Troppo pura davvero per vivere,
troppo nervosa per vivere alla giornata ma anche troppo adamantina per
lasciarsi mordere dall'esistenza, l'inviolabile Ruth che simile a una fiala si
svuota evaporando poco a poco, di stazione invernale in stazione invernale, al
sole amico dei camposanti, delle putredini e delle bambole di cera vergine...
L'anno passato fu vista in India, a
Darjeeling, ed è là, oh acerba etica! che la sua tisi si pimentò d'allucinazioni.
Fu in seguito a un bizzarro suicidio in cui si trovò (lei già così lontana
dalla rissa di questo basso mondo cruento) suo malgrado coinvolta nel più
segreto di un giardino, durante una notte di luna, ispiratrice perdutamente
involontaria e testimone unica. E da quella notte crede di ravvisare sempre,
nelle tracce di sangue del suo espettorato, sangue rosso e veemente, lo stesso
sangue dell'enigmatico suicida e a quel sangue di cose essenziali e cocenti
così radicalmente versato essa delira.
Tisica, allucinata: quale che sia il
fondamento di tutto questo romanzesco, la giovane dama «non ne ha per molto»
come ci si permette di canticchiare giù nei servizi, al seminterrato
dell'albergo (questo piano è impietoso).
Così, come in un sogno che per una
stagione o due interrompa i suoi viaggi personali e il suo perfezionamento
dell'eroe, il buon Patrick segue d'un occhio fatalista le moribonde, moribonde
aurore delle etiche macchie sugli zigomi della sorella e le lunule di sangue
dentro i suoi fazzoletti. Non vive che curvo sull'orlo dei suoi occhi, acuti a
volte come quelli degli uccelli selvatici dell'Atlantico, a volte annebbiati
da una pece, curvo sulle vene azzurrine delle sue tempie, azzurrine come gli
estivi lampi; e servendola a tavola, portandola a spasso, offrendole ogni
mattina un piccolo mazzo di fiori da poco, mostrandole delle immagini colorate,
suonando per lei al piano dei piccoli pezzi norvegesi da un album di Kjerulf,
o con voce assolutamente naturale leggendole qualcosa.
Patrick per l'appunto, nell'attesa
della processione, e non volendo fare troppo caso a qualche grossolano
indiscreto fermo ai piedi della scalinata, sta finendo di leggere una pagina
di Serafita alla sorella.
- ... «Per un attimo un'anima
ristette, come bianca colomba, posata su quel corpo...»
- Facile a descriversi! dice Ruth;
no, davvero si tratta di una volgare sdolcinatura serafica; è una pagina che
risente di Ginevra dov'è stata scritta. E quel messaggero di luce con tanto
di spada e di cimiero! Povera, povera Serafita! no, quel Balzac dal collo
taurino non poteva esserti fratello.
È sublime nel suo riserbo, Ruth
riprende con una mano a scompigliare le rose tee disseminate sullo scozzese a
scacchi bianchi e neri, mentre con l'altra tormenta una strana piastra
smaltata che sembra inchiavardare esotericamente l'asessuato petto.
Strana, davvero strana questa piastra
di smalto che essa accarezza sull'asessuato petto! Accostiamoci, di grazia; è
uno smalto burinato, di gusto barbaro e futuro, uno splendido occhio
gigantesco di coda di pavone sotto una palpebra umana, il tutto incastonato
tra pietre tonde esangui. A Parigi, in un giorno di maggio, al Bois, un povero
diavolo che Ruth da qualche tempo trovava sempre sul suo cammino, venne fuori
da un cespuglio, seguì la sua carrozza e getta ai suoi piedi quella piastra
di smalto dicendo con la voce più naturale del mondo: «Per voi sola, e
sappiate che il giorno in cui la doveste lasciare, io lascerei questa vita».
Ecco che una sera, facendo Ruth il suo ingresso in un salone, un signore
svenne a quella vista. Riavutosi, il signore balbettò che non era lei la
cagione ma la piastra di smalto che portava sul petto, e pregava che gliela
cedesse per la sua collezione. Ruth oppose un rifiuto, raccontò la storia
fornendo i ragguagli che sapeva, utili a identificare l'invasato. L'amatore si
mise in cerca, fallì, perdette la salute, e un giorno andò da Ruth dove rese
a madre natura la sua povera anima d'amatore di cose artificiali.
Ecco svelato l'arcano! Per una
fatalità imperscrutabile Ruth, quest'incantevole agonizzante, passa la vita a
seminare suicidi sulla sua via, sulla sua via crucis.
Prima di venire a rattristare la
piccola città termale Ruth operava a Biarritz; e malgrado l'orrore del sangue
volle assistere a una corrida a San Sebastiano.
Ruth e l'imperturbabile fratello
avevano preso posto sopra lo stallo dei tori, nel palco del governatore. Ah!
come vibrava nell'ampia gala di velo tea, gala drappeggiata alla brava, senza
pieghe né volantini, imbastita in fretta col passo ricavato da un sudario,
probabilmente per non ferire con un taglio troppo accentuato, con una
rifinitura troppo resistente, la friabilità indifesa e fuori delle mode di
colei che doveva indossarla!
È giocoforza riconoscere che il
sangue bestiale che colava là, lappato lentamente dalla sabbia dell'arena,
rimpiazzava il sangue del suo incubo abituale.
Educatamente, senza un conato, Ruth
tripudiò allo spettacolo di sei rozze sventrate alla cieca, di quattro tori
lardellati di ferite e proprio all'ultimo trafitti, e di due banderilleros
atterrati, uno anche ferito alla coscia. Era lei a trattenere ogni volta il
braccio del governatore presidente, quando l'arena tutta coi suoi mille
fazzoletti sventolati gli intimava di sventolare il suo perché cessasse il
massacro dei cavalli dei picadores e facesse accorrere i banderilleros.
- Oh! non ancora 'signor presidente',
ancora uno scontro, è il più bello...
Al quinto toro una scarica d'improperi
s'era abbattuta sul troppo debole 'signor presidente'. Due
cavalli giacevano rantolando teneramente tra le zampe l'uno dell'altro
nell'attesa che li si finisse; due altri furono trascinati via perdendo a
fiotti le budella. Finalmente, a un segnale, anche i pesanti picadores vestiti
di giallo si ritrassero lasciando il toro solo, in un silenzio predisposto,
faccia al banderillero a pié fermo coi suoi due dardi ornati di nastri in
resta. Sanguinava, il povero toro, delle molte scalfitture messe a segno (vale
a dire a fior di pelle, per esasperare senza indebolire). Balza, poi girò
stretto ritornando a fiutare e a rivoltare con le sue corte corna le flaccide
masse dei due cavalli stesi, e arrestandoglisi davanti a fronte bassa,
sentinella fraterna, come cercando di capire. Invano il banderillero in
posizione lo chiamava, lo scherniva, gli lanciò pure il suo berretto a
nappine di seta nera tra le zampe, il toro si ostinava a cercare frugando la
sabbia con zoccolo rabbioso, stranito dai clamori variopinti di quel campo
recintato dove non sventrava che dei brocchi con le bende sugli occhi o dei
volteggianti brandelli insanguinati.
Un capador scavalcò la barriera e
corse a scaraventar gli sul muso un otre sgonfio, e fu applaudito.
Quand'ecco che di colpo, dinnanzi ai
ventimila ventagli palpitanti in un grande silenzio d'attesa sotto uno
splendido cielo scoperto, la bestia tese manifestamente il collo verso Ruth
come a individuare in lei sola la causa di tante cattiverie ed emise, lontano
dai pascoli nativi, un muggito così sovranamente sventurato (a dir tutto, così
geniale) che vi fu un minuto di totale turbamento, uno di quei minuti in cui
si fondano le nuove religioni mentre, svenuta e delirante, era portata via,
chi? - la bella dama crudele della loggia presidenziale.
E Ruth che riprendeva il suo ritornello in modo straziante:
- Il sangue, il sangue... là sull'erba; tutti i profumi d'Arabia...
Naturalmente, poiché Ruth era
passata di là, l'ecatombe di cavalli e di tori doveva quel giorno completarsi
in un modo ben curioso! Sì, quel 'signor presidente' che vedeva
per la prima volta, senza averla mai prima conosciuta, la nostra giovane e
tipica eroina, questo strano individuo con la faccia di febbre gialla e con
gli occhiali d'oro, questo creolo assonnato e impassibile di fronte alle
richieste e ai sarcasmi di tutta l'arena, doveva suicidarsi la stessa sera
indirizzando con qualche cianfrusaglia (ricordi dell'esilio consolare in
colonia, esilio che, come diceva, gli aveva lasciato l'anima strana e stanca)
una enigmatica e nobile lettera a Ruth che Patrick fortunatamente riuscì a
intercettare, desistendo tuttavia dal coglie re il nesso di quell'epidemia di scene sconcertanti.
E chi mai poté idearle, se non Colui che regna nei cieli? |