Moralità Leggendarie

Il Miracolo delle Rose 

L'altra seminagione di Sensitive si comportò in un modo un poco diverso, infatti i cotiledoni s'abbassarono durante la mattinata fino alle ore 11 e 30, per poi alzarsi; ma dopo mezzogiorno e 10 caddero di nuovo. E il grande movimento ascensionale della serata non ebbe luogo che a partire dalle ore 1 e 22.
DARWIN

I

  Mai, mai la piccola città termale con la sua Giunta insipiente, delegata da montanari avidi e, malgrado l'abito, nient'affatto operetta, mai ne ebbe sentore.
   Ah! se tutto fosse soltanto operetta!... Se tutto evolvesse a tempo di quel valzer inglese Myosotis allora in voga al Casinò (io afflitto in un angolo, come si può immaginare), valzer in coscienza così malinconico, e giorni, inesorabilmente ultimi bei giorni!... (Oh! quel valzer, magari io ve ne potessi inoculare in due parole il sentimento, prima di lasciarvi entrare in questa storia!)
   O guanti mai rinfrescati dalla benzina! O malinconico e brillante va e vieni di tali esistenze! O sembianze di felicità tanto scusabili! O beltà che invecchieranno tra neri pizzi, vicino al caminetto, incapaci di apprezzare la condotta degli figlioli atletici e gaudenti che allora misero al mondo con una malinconia così casta!...
   Piccola città, piccola città del mio cuore.
   Non è che i malati deambulino intorno alle Fonti, con in mano il bicchiere graduato. Vi si fanno i bagni; acqua a 25 gradi (quattro passi dopo il bagno, poi un pisolo) buona per i nevropatici, e soprattutto per la donna, per le muliebri in quello stato.
   Li vedi che vanno in giro, i bravi nevropatici, tirandosi dietro una gamba che non valzerà neanche più sull'aria tenue e compassata di Myosotis, o spinti dentro una carrozzella imbottita d'usatissimo cuoio; li vedi in pieno concerto lasciare improvvisamente il loro posto al Casinò, in preda a strani rumori di deglutizione automatica; o durante la passeggiata volgersi improvvisamente portando una mano alla nuca come se qualche spiritaccio li avesse colpiti con una rasoiata; li incontri in prossimità del bosco, la faccia scossa da tic inquietanti, seminando tra le fenditure antidiluviane coriandoli di lettere lacerate. Sono i nevropatici, figli di un secolo troppo brillante; te li trovi tra i piedi ovunque.
   Il vecchio sole, amico delle serpi, dei camposanti e delle bambole di cera, calamita qui come altrove qualche tisico, razza tardigrada eppure cara al dilettante.
   Una volta sì che si giocava in quel Casinò! (o epoche brillanti e irresponsabili, il mio cuore falotico, il mio cuore come vi rimpiange!) Ma da quando non vi si gioca più (ombra del principe Canino che avevi sempre al fianco il fedele Leporello, quale imperscrutabile beccamorti ha cura di voi?) le sale dai superflui custodi decorati, in panno blu con bottoni di metallo, si sono proprio spopolate. La sala dove si leggono i giornali, fissi da sempre al loro posto, ospita sempre, tanto per tenervi lontano, qualche nevropatico dalla deglutazione automatica, e a quel rumore Il Tempo vi casca di mano. La vecchia sala da gioco non ha più che delle trottole olandesi, dei biliardi, delle cabine in vetro per lotterie infantili e, negli angoli, degli impianti per giocatori di dama e di scacchi. Un'altra sala serve da rimessa per il piano a coda di un tempo, - o ballate inguaribilmente sentimentali di Chopin, ne avete seppellita ancora una di generazione! mentre la giovinetta che vi suona stamane, ama, è convinta che prima di lei l'amore non sia mai stato provato, prima dell'avvento del suo cuore sensibile e spaiato e s'impietosisce, o ballate, sui vostri esili incompresi. Nessuno solleva più la fodera a fiori stinti che copre questo pianoforte di un tempo; ma i soffi di vento delle belle serate arrischiano strani arpeggi di armonica tra le stalattiti di cristallo del luminario che rischiarò le ben nutrite spalle volteggianti sulle arie galeotte di Offenbach.
   Ah! ma dal terrazzo del galeotto Casinò d'un tempo si gode anche la vista sul sano e fitto tappeto verde di un Tennis ove tutta una gioventù per l'appunto moderna, muscolosa, ben lavata e responsabile della Storia, dà libero corso ai propri animal spirits, a braccia nude e con superbo e responsabile torace, in presenza di Ragazze istruite e libere che si muovono, zoppicando con eleganza nelle loro scarpe piatte, sfidando l'aria aperta e l'Uomo (invece di coltivare l'anima immortale e di pensare alla morte che è, con la malattia, la condizione naturale di ogni cristiano).
   Di là da questo verde tappeto di gioventù per l'appunto moderna, stanno le prime colline e la cappella greca dalle cupole dorate, con le sue cripte dove viene relegato tutto ciò che infossa della famiglia dei principi Stourdza.
   E più sotto, ecco la villa X... ove, debitamente indotta, immusonisce una regina cattolica decaduta che crede sempre di onorare con la sua presenza la località, come un tempo, e presso la quale ci si mette in nota sempre meno.
   Poi le colline, luoghi da cartoline a più colori ritoccate, coi torrioni romantici e coi villini da schizzare.
   E sulla piccola stramba città e sul suo cerchio di colline, il cielo infinito di cui si è orbati, giacché queste effimere femminine non escono mai, in verità, senza che esse frappongano un frivolo ombrello tra sé e Dio.
   Il comitato per i festeggiamenti prospera: notti veneziane, ascensioni di aerostati (l'aeronauta si chiama sempre Karl Securius), caroselli infantili, sedute di spiritismo e di antispiritismo; e sempre al suono della brava orchestra locale cui niente al mondo potrà mai impedire di andare alle Fonti ogni sette e trenta del mattino per il corale d'apertura della giornata, poi dopopranzo sotto le acacie della Passeggiata (oh! gli a solo della piccola arpista che si mette in nero, e si sbianca di cipria, e alza gli occhi al soffitto del Chiosco per farsi rapire da qualche esotico nevropatico dall'anima fremente come la sua arpa!), poi la sera sotto la luce elettrica di rigore (oh! la marcia dell'Aida sulla cornetta a pistone, verso le ineluttabili e chimeriche stelle!...)
   Eccola dunque, in definitiva, questa piccola stazione di lusso, come un ricco apiario in fondo alla valle.
   Coppie vaganti, ricche tutte di chissacché passato, e senza un proletario in giro (oh! se le capitali fossero delle delicate città termali!), nient'altro che subalterni di lusso, valletti, fiaccherai, cuochi in bianco sul limitare delle porte la sera, guidatori d'asini, mandriani di vacche da latte per tisici. E tutte le lingue, e tutte le teste che la civiltà fa belle.
   E al crepuscolo, proprio nel momento della musica quando, tra due sbadigli, vien fatto di alzare gli occhi a guardare l'eterno cerchio delle colline ben tenute e coloro che passeggiano tra sorrisi acuti e pallidi, si prova ma esasperata la sensazione di vivere in una prigione di lusso dal verde cortile, e che si tratti di malati messi lì, patiti di romanzesco e di passato, relegati lontani dalle autorevoli capitali dove si rumina il Progresso.
   Ogni sera si cenava sul terrazzo; un poco più in là, la tavola della principessa T... (una brunona malfatta e millantata) convinta, poveretta, di fare dello spirito in mezzo a dei familiari che ne erano altrettanto convinti, poveretti!; - io guardavo il getto d'acqua zampillare e salire alla diavola verso la stella di Venere appena apparsa all'orizzonte, proprio nel momento in cui, destando echi nella valle, salivano pure i razzi, i razzi d'artificio come getti d'acqua supplementari ma più affini alle stelle, - stelle del resto ineluttabili e chimeriche vuoi per il getto d'acqua e i razzi d'artificio, vuoi per la marcia dell'Aida nostalgicamente fulminata dalla canna pensante della cornetta a pistone. Serate davvero ineffabili, quelle. Voi che c'eravate e che non vi avete attratto, come il magnete la folgore, la fidanzata ignota, non datevi più la pena di cercare perché colei che trovereste sarebbe sicuramente un'altra, una povera altra.
   O piccola città, sei stata il mio solo amore; ma già ho detto troppo. Da quando lei (Lei) è deceduta, io non vi ho più fatto ritorno, né voglio averci più a che fare; non per sentimentalismo (quantunque il sentimentalismo non sia ciò che la gente vanesia crede) ma per un nonsocché che non ha nome in nessuna lingua, allo stesso modo della voce del sangue.

The miracle of roses

Le Miracle des Roses